Lo Stato ha stanziato una certa cifra per poter offrire 500 euro mensili di sostengo al reddito. L’aiuto vale per un anno e può essere erogato alle aventi diritto che ne fanno domanda.
500 euro: un contributo che, di per sé, appare economicamente modesto se associato alla parola “reddito”. Inoltre, la misura, seppur meritoria nelle intenzioni, rischia di rappresentare un aiuto inefficace. Soprattutto in base ai fondi totali messi a disposizione.
Secondo le tante associazioni che si occupano di donne in difficoltà o alle prese con eventi di evidente gravità, i 500 euro proposti come reddito dallo Stato sono comunque meglio di niente. Ma, di certo, non sembrano una cifra adeguata a rispondere al problema cui sono dedicati.
C’è da dire che anche le Regioni possono aggiungere fondi propri per accogliere qualche domanda in più. Una cosa del genere è, per esempio, già successa in Emilia-Romagna… Ciononostante, guardando all’investimento fatto dal Governo, ci si accorge presto che a beneficiare dell’aiuto saranno in poche.
I 500 euro al mese per un anno sono destinati a quelle donne che vivono relazioni violente. La misura, introdotta dal Governo Meloni, prende il nome di reddito di libertà.
Da un punto di vista politico, è molto importante che lo Stato abbia introdotto una simile misura… La violenza sulle donne non va infatti intesa come una faccenda privata: è un problema pubblico, sociale e strutturale.
E il denaro è fondamentale, dato che moltissime persone hanno difficoltà a emanciparsi da mariti e compagni violenti non avendo un lavoro, una casa o un conto in banca.
Reddito di libertà: come ottenere i 500 euro dallo Stato e quando
Il punto è che, per il 2025, lo Stato ha messo a disposizione 11 milioni di euro. Considerando che ogni donna può ricevere fino a 6.000 euro (500 euro al mese per dodici mesi), meno di 1.900 donne in tutta Italia potranno sfruttare questo speciale reddito.

Be’, 1.900 donne su scala nazionale sono pochissime. Basti pensare che ogni anno nel nostro Paese ce ne sono decine di migliaia che denunciano atti di violenza domestica.
Inoltre, anche se annuale, il contributo va considerato come un aiuto una tantum e non strutturale. Non crea un vero reddito, non garantisce una casa, non dà alcuna sicurezza… La misura rischia insomma di essere una piccola toppa piazzata su un’enorme falla sociale. Un’iniziativa utile ma insufficiente.
L’aiuto concede fino a 500 euro mensili per un massimo di dodici mesi ma è erogato in un’unica soluzione. Questo reddito è esente da IRPEF ed è cumulabile con altri strumenti di sostegno (come per esempio l’assegno di Inclusione o la NASpI). Per ottenerlo bisogna fare domanda tramite il Comune di residenza utilizzando il modulo SR208 (“Domanda Reddito di Libertà”).
Bisogna presentare però delle attestazioni del centro antiviolenza e del servizio sociale professionale. Documenti che certifichino il percorso di uscita dalla violenza e lo stato di bisogno.
Dal 5 marzo al 18 aprile 2025, è stato attivo un periodo transitorio: le donne che avevano già presentato domanda negli anni precedenti, ma erano state escluse per mancanza di fondi, hanno potuto ripresentare la richiesta tramite il Comune.
Dopo il 18 aprile, si è in pratica ancora in attesa che l’INPS comunichi ufficialmente la data di apertura per le nuove domande. Solo allora le donne che non avevano mai fatto richiesta potranno presentarla