L’allattamento a rischio è una direttiva nata per facilitare le neo-mamme che lavorano e che desiderano allattare i propri figli senza rinunce.
Ma esattamente che cos’è e come si presenta la domanda? Le ore passate in ufficio o in qualsiasi ambiente lavorativo possono essere un ostacolo alla possibilità di allattare il neonato, vanificando anche quello che viene chiamato allattamento a richiesta, quindi l’offerta del nutrimento materno quando il figlio lo richiede.
Senza dimenticare il fatto che la mamma che allatta deve ambire ad avere una vita sana che non pregiudichi la qualità del suo latte.
Vediamo quindi quali sono le possibilità stabilite dalla legge italiana dedicate alle lavoratrici che hanno avuto un figlio e lo allattano.
Allattamento a rischio, cosa sapere a riguardo
L’allattamento materno è un diritto fondamentale per le madre e i bambini, riconosciuto dalla legislazione nazionale. Il decreto legislativo n.151 del 26 marzo 2001 è stato riconosciuto per garantire la sicurezza di una donna anche in seguito alla gravidanza per supportarla durante il periodo dell’allattamento.
Allattamento a rischio, cosa sapere a riguardo – Pourfemme.it
Allattare al seno costituisce infatti la modalità di alimentazione naturale nella prima infanzia e l’allattamento al seno è benefico anche sulla salute della donna.
I fattori dannosi per l’allattamento possono essere dovuti a:
- agenti fisici, come ad esempio radiazioni ionizzanti, rumori industriali, sollecitazioni termiche, vibrazioni sul corpo;
- agenti biologici, derivati ad esempio da contatti con malati infettivi o da contatti con animali;
- agenti chimici, come ad esempio vernici, solventi, fumi, gas, polveri, veleni, sostanze nocive e tossiche in generale.
Altri fattori di rischio per l’allattamento sono le mansioni che prevedono sforzi fisici, posture prolungate, lavori faticosi o pericolosi e anche turni notturni.
I settori lavorativi che possono presentare più fattori di rischio che possono influire negativamente sull’allattamento sono:
- industriale
- sanità
- ristorazione e commercio alimentare
- agricoltura
- estetico e parrucchiere
- alberghiero e domestico
- scolastico
La madre lavoratrice deve prima di tutto consegnare il certificato di nascita del figlio al datore di lavoro, entro 30 giorni dalla nascita.
Spetta al datore di lavoro valutare se vi siano rischi per l’allattamento nel rispetto delle linee direttrici elaborate dalla Commissione dell’Unione europea.
Il datore di lavoro deve infatti seguire la legislazione che vieta di far effettuare lavori pericolosi, faticosi e insalubri alle neo-mamme.
Se la valutazione dei rischi rivelerà un problema per la sicurezza e la salute della mamma lavoratrice, il datore di lavoro dovrà adottare le misure necessarie affinché il problema sia risolto.
Alla lavoratrice potranno essere assegnate mansioni o attrezzature diverse conservando però la retribuzione e la qualifica precedente.
Se non fosse invece possibile assegnare una mansione diversa alla neomamma, essa avrà diritto all’astensione dal lavoro fino ai 7 mesi di vita del bambino mantenendo una retribuzione del 100% anticipata dal datore di lavoro e poi rimborsata dall’Inps.
In questo caso è necessario presentare una comunicazione scritta alla Direzione Provinciale del Lavoro.