Selfie mania? Disturbo mentale!

La selfie mania più che una moda irritante, secondo gli esperti Usa, sarebbe un vero e proprio disturbo mentale.

Selfie mania? Disturbo mentale!

Selfie mania? Un vero e proprio disturbo mentale secondo gli esperti d’oltreoceano dell’American Psychiatric Association. Che la definizione di turba psichiatrica della moda imperante in rete degli ultimi mesi arrivi proprio dalla patria della tendenza suona un po’ strano e lievemente bizzarro, ma tant’è: gli psichiatri a stelle e strisce hanno dato un’etichetta preoccupante alla voglia di esibizionismo sfoggiata tramite autoscatto e postata via social network. Un problema che assume i contorni della patologia e, per non farsi mancare proprio nulla, anche il nome. Si tratta della selfitis, della selfite.

Una patologia, la selfite, cioè, più volgarmente, la selfie mania, che non è altro che un desiderio ossessivo compulsivo di realizzare fotografie di se stessi. Una voglia irrefrenabile di immortalare facce e faccette, espressioni buffe o provocanti armati di smartphone o di tablet. Una voglia di autoscatto che sfocia nella necessità patologica e che, a detta degli psichiatri statunitensi, è dettata da una serie di insoddisfazioni e mancanze. In particolare, la selfite è il triste risultato tecnologico della mancanza di autostima e di lacune nell’intimità, un modo come un altro, rigorosamente in versione hi-tech come ogni moda 2.0 che si rispetti, di sfogare la carenza di fiducia in se stessi.

Una patologia dei tempi moderni che ha diverse possibili facce e si può presentare in diverse versioni. Esistono i malati di selfie borderline, che si scattano circa tre foto al giorno, ma se le tengono per se, evitando di condividerle con gli amici, veri o immaginari, della rete via social network. Ci sono poi, quelli “malati” più convinti, quelli affetti da selfite acuta, sempre secondo la classificazione stilata dagli esperti dell’American Psychiatric Association, che non sanno resistere al loro terzetto di autoritratti da smartphone quotidiani e, non contenti, pubblicano tutto online su una o più piattaforme digitali rigorosamente social. Casi disperati, o quasi, invece, gli individui colpiti da selfite cronica che autoscattano foto più di sei volte al giorno, per poi riportare ogni fotogramma diligentemente sul proprio profilo social, Facebook, Instagram o Twitter che sia.

Identificata la malattia, classificate le diverse forme i differenti stadi della stessa, i medici Usa hanno anche pensato alle possibili cure. Se una terapia specifica, dall’efficacia garantita al cento percento, non è ancora disponibile, esiste un trattamento utile per superare questo disturbo mentale. Si tratta della terapia cognitivo-comportamentale.

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Parole di Camilla Buffoli