Sappiamo quanto è importante fare del movimento per il nostro benessere ma anche per la nostra linea: spesso infatti, quando siamo in lotta con la bilancia, un’iscrizione in palestra placa per un po’ di tempo i nostri sensi di colpa. Sappiate che però, se quello che mangiate dopo l’attività fisica non è bilanciato e corretto, rischia di vanificare tutti i nostri sforzi! Un bel problema! Lo rivela uno studio dell’università del Michigan consultabile sito del Journal of Applied Pshysiology. Nove volontari si sono prestati alla ricerca sperimentando tre tipo di dieta post-fitness: uno bilanciato, uno con pochi carboidrati, un altro ipocalorico. Scopriamo allora cosa mangiare dopo la palestra.
Dieta con pochi carboidrati
Il risultato purtroppo vi deluderà: il migliore è il menu con pochi carboidrati che stimolerebbe in modo migliore il metabolismo del glucosio. «Molti miglioramenti metabolici, derivanti dall’esercizio, dipendono dall’ultima seduta di allenamento e non soltanto dall’aumentato “fitness” generale. E il metabolismo cambia non solo per come ci alleniamo, ma anche a seconda di quello che mangiamo», spiega Horowitz, ricercatore a capo dello studio.
Dieta bilanciata
I volontari, sedentari e abituati a mangiare in modo normale, sono stati sottoposti a varie sessioni di allenamento seguite da vari menu tipo. Alla fine è proprio emerso che ogni volta che ci si allena la sensibilità dell’organismo all’insulina aumenta, migliorando la capacità di utilizzo e immagazzinamento muscolare del glucosio, riducendo anche il rischio di diabete.
Dieta ipocalorica
«Questo effetto è più evidente se si riducono i carboidrati senza toccare le calorie. Perché l’attività fisica apporti importanti benefici sulla salute, insomma, non occorre mangiar poco o cercare di ottenere un effetto dimagrante: anche l’esercizio associato a un consumo contenuto di carboidrati fa bene al metabolismo e alla salute. Adesso stiamo proseguendo gli studi su soggetti obesi, per capire qual’è la minima quantità di esercizio fisico che può aumentare la sensibilità all’insulina almeno per un giorno», sottolineano i ricercatori.