Di Giovanna Tedde | 7 Novembre 2019

Emma Watson. Foto Getty Images | Pascal Le Segretain
Esiste una parola per descrivere la felicità anche da single? Secondo la star Emma Watson, che ne ha coniata una giusto per l’occasione, sì: “self partnered”. In italiano sarebbe “auto-partner”, o meglio “partner di se stessa”, ed è così che l’attrice si sente, in un universo di relazioni in cui non avere un compagno o una compagna, spesso, suona come una condanna all’invisibilità.
Altro che musi lunghi da zitella stile Bridget Jones, qui si tratta di una vera rivoluzione interiore che punta dritta a restituire dignità e gratificazione allo status di chi sceglie di non stare con qualcuno dal punto di vista sentimentale.
Al bando la triste parola ‘single’, spazio a una nuova prospettiva sul rapporto con il proprio Io, lontano dalla paura di non avere una persona al proprio fianco e immersi nella consapevolezza di bastare a se stessi.
L’attrice americana Emma Watson si fa portatrice di un nuovo modo di intendere il benessere della solitudine, e ha descritto chiaramente la sua situazione, alla soglia dei 30 anni, arrivando al punto con una sola definizione: “Sono in coppia con me stessa (self partnered, appunto), e sono felice“. Si sente completa, dunque, e senza rimpianti.
Non chiamatela single: Emma Watson è ‘self partnered’
Diciamocelo: quante di noi si sono sentite immuni dagli sguardi inquisitori dei parenti, magari durante il matrimonio della nostra migliore amica, mentre tutti sembrano andare in meta con famiglia, mariti, figli e invece… noi siamo ancora qua? Agli occhi degli altri sempre ferme, alle porte dei 30, ma anche dei sospettati anta, con una sola certezza: se stesse.
Nessun fidanzato e nessun marito, nessuna necessità di essere in due per sentirsi realizzate: è così che un’intera generazione di donne, che sopravvivono al cliché della coppia come marchio di successo, condisce le sue giornate e le prospettive future.
Emma Watson docet: all’età di 29 anni, la star ha dipinto uno spaccato che appartiene a tante, tantissime principesse che non sognano un principe, e che cercano di liberarsi con intelligenza della diffidenza di chi pensa per due, di quel modo di vedere le cose che sa di abitudine e naftalina.
“C’è un flusso di messaggi subliminali intorno a me: se non hai una casa tua, se non hai un marito, un bambino, una posto stabile e una carriera sicura o se stai semplicemente ancora cercando delle risposte. C’è solo un’incredibile quantità di ansia“.
È il quadro della realtà che l’attrice ha vissuto e vive ancora intorno a sé, alla sua identità di donna che si autodetermina senza nulla chiedere oltre a quanto già la sua testa e il suo cuore abbiano disegnato per lei. È un racconto restituito all’edizione britannica della rivista Vogue sotto forma di riflessione a tutto tondo sul principio dell’esistenza stessa, che è anzitutto capacità di restare al mondo individualmente, prima ancora che in due o più.
“Per troppo tempo ho pensato che non si potesse essere single e felici. L’idea di essere self partnered, stare bene con me stessa, la consideravo la solita frase fatta. Mi ci è voluto molto tempo, ma adesso sono davvero felice”. Facile a dirsi, un po’ meno a farsi ma… una volta aperta la porta del proprio universo di certezze, è facile gestire lo spazio dei sentimenti anche quando non nascono per essere condivisi. Non pensatela in grigio, non definitela ‘da single’: è una vita da “self partnered”, vissuta semplicemente e orgogliosamente da “partner di se stessa”. Elementare, Watson.
Parole di Giovanna Tedde