Coronavirus isolato allo Spallanzani da tre ricercatrici italiane

Scopriamo chi sono le ricercatrici italiane che sono riuscite a isolare il virus cinese in tempi da record.

Coronavirus isolato allo Spallanzani da tre ricercatrici italiane

Foto Shutterstock | SamaraHeisz5

Il coronavirus è stato isolato in tempi record presso l’Istituto Spallanzani di Roma da un team tutto al femminile composto da ricercatrici italiane, una delle quali precaria. Il risultato ottenuto dal laboratorio di virologia dello Spallanzani testimonia il livello di assoluta eccellenza della ricerca italiana. Non a caso il ministro della Salute, Roberto Speranza, ha elogiato il brillante lavoro delle scienziate italiane e le ringraziate definendole ‘un orgoglio per il nostro Paese’. Ma chi sono le protagoniste dell’avvenuto isolamento del coronavirus? Andiamole a conoscere.

Coronavirus isolato allo Spallanzani, primo in UE

I virologi dell’Istituto Spallanzani sono riusciti, primi in Europa, ad isolare il virus responsabile dell’infezione in tempi davvero record, ovvero a meno di 48 ore dalla diagnosi di positività al coronavirus dei primi due pazienti in Italia. La sequenza parziale del coronavirus isolato (conosciuto con il codice 2019-nCoV/Italy-INMI1), è stata già depositata nel database GenBank, ed a breve anche il virus sarà reso disponibile per la comunità scientifica internazionale che potrà così studiare i meccanismi della malattia per lo sviluppo di cure e la messa a punto del vaccino.

Coronavirus isolato in Italia: chi sono le ricercatrici da record

Chi sono le tre ricercatrici italiane che hanno isolato il coronavirus allo Spallanzani? Le protagoniste della ricerca sono essenzialmente tre: Maria Rosaria Capobianchi, Concetta Castilletti e Francesca Colavita.

Maria Rosaria Capobianchi è la dottoressa direttrice del Laboratorio di Virologia dello Spallanzani che ha messo a punto la diagnosi. Nata a Procida 67 anni fa, si è laureata in scienze biologiche per poi specializzarsi in microbiologia. Lavora presso l’Istituto Spallanzani di Roma dal 2000.

Concetta Castilletti, che il direttore dell’Istituto, Giuseppe Ippolito, ha definito ‘mani d’oro’, è nata nel 1963 ed è specializzata in microbiologia e virologia. Attualmente è responsabile dell’Unità dei virus emergenti.

Francesca Colavita è la più giovane ricercatrice nel team che ha isolato il coronavirus, ma vanta comunque un’ampia esperienza nello studio dei virus a livello internazionale. La scienziata (precaria, va detto,  ha un contratto di collaborazione) ha 31 anni ed è nata a Campobasso. Ha una vasta esperienza internazionale, ha lavorato già con successo allo studio del virus Ebola e allo Spallanzani lavora da sei anni nel laboratorio di Virologia e Biosicurezza.

Il risultato del coronavirus isolato è comunque il frutto di un eccellente lavoro di squadra. Il gruppo iniziale – come precisato dalla direttrice Capobianchi su Repubblica – che ha cominciato a lavorare alla messa a punto della diagnosi era capitanato da Eleonora Valle, responsabile della Diagnostica delle infezioni virali respiratorie in laboratorio.

A queste ricercatrici si aggiungono altri due scienziati che hanno collaborato allo scopo di isolare il coronavirus, si tratta di Fabrizio Carletti, esperto nel disegno dei nuovi test molecolari, e Antonino Di Caro che si occupa dei collegamenti sanitari internazionali.

Diffusione del virus: cosa succede ora?

Maria Capobianchi, responsabile della ricerca che ha portato all’isolamemto del nuovo coronavirus, ci spiega: ‘Fino a pochi giorni fa erano disponibili solo i dati di sequenza del virus: li avevano pubblicati i cinesi che non hanno fatto uscire altre informazioni anche se sicuramente lo hanno isolato, senza però distribuirli in ambito internazionale. I dati erano quindi tutti basati solo su dati diagnostici, sul disegno del genoma del virus. Hanno funzionato bene e ci hanno permesso di fare test che hanno funzionato’.

Capobianchi prosegue: ‘La coltivazione del virus è un passo fondamentale per perfezionare le diagnosi, i test sierologici e la risposta delle persone all’infezione. Ma anche per arrivare a un eventuale vaccino. Sicuramente avere a disposizione il virus è partire da una buona base per fare tutto quello che serve dopo”.

E precisa: ‘Inoltre avere un virus in coltura permette di provare farmaci in vitro e studi di patogenesi sui meccanismi di replicazione, i rapporti tra il virus e la cellula ospite e i casi di infezioni primarie e secondarie’. Per il futuro c’è grande ottimismo, conclude la scienziata: ‘Siamo pronti per fare il sequenziamento dell’intero genoma e a distribuirlo a livello internazionale per aiutare la lotta al coronavirus’.