Cibo scaduto: sintomi, conseguenze e quando si può mangiare

Gli alimenti scaduti non sempre sono da buttare nella spazzatura: ecco cosa fare e quando si possono ancora mangiare.

Cibo scaduto: sintomi, conseguenze e quando si può mangiare

Il cibo scaduto non è sempre da indirizzare verso la spazzatura. Se i sintomi o, meglio, i campanelli d’allarme che segnalano che un alimento non è più commestibile sono spesso a “portata di naso”, a volte è meglio attenersi alla dicitura sulla confezione del cibo per evitare rischi inutili e conseguenze spiacevoli. A ciascun cibo le sue regole, da seguire perentoriamente o da aggirare senza troppe ansie. Ecco qualche informazione utile sull’argomento, su quando il cibo è da buttare e quando, invece, si può mangiare.

La scadenza

Il primo punto da chiarire riguarda la scadenza. Esistono due possibili diciture: da consumarsi preferibilmente entro il oppure da consumarsi entro il. La differenza la fa l’avverbio, perché nel primo caso si tratta di un termine indicativo, mentre nel secondo caso di uno tassativo.
 
L’avverbio preferibilmente lascia discrezionalità al consumatore che può decidere se mangiare un alimento che potrebbe non avere più le caratteristiche organolettiche di prima, ma che non comporta rischi per la salute. Quando la scadenza, invece è tassativa, meglio non sgarrare troppo, soprattutto se si tratta di alimenti freschi, come carne o pesce, per evitare effetti collaterali imprevisti, come pericolosi avvelenamenti o infezioni alimentari. Il consiglio, che suona più come una regola da rispettare, vale per tutti, adulti e bambini, con una particolare attenzione per le donne in gravidanza, sia che si tratti di alimenti crudi o cotti.
 

I sintomi possibili

Se si ingerisce il cibo scaduto, nonostante l’indicazione in etichetta, possono manifestarsi alcuni sintomi, da più fastidiosi, ma altrettanto innocui e passeggeri, come mal di pancia e malessere, fino a quelli più seri, che compaiono in caso di intossicazioni e tossinfezioni alimentari. Vomito, dissenteria, nausea e febbre possono manifestarsi dopo l’ingestione di alimenti scaduti ma anche contaminati da microrganismi pericolosi, come virus, batteri o funghi.
 

Ogni cibo ha le sue regole

La prima differenza da chiarire è quella tra cibo fresco e alimenti surgelati. Se nel primo, caso quando l’alimento fresco scade, è meglio buttarlo, nel secondo caso, se il cibo è conservato correttamente nel congelatore, si può consumare anche a distanza di una o due settimane dalla data di scadenza.
 
Uova, formaggi e latticini. Il latte fresco dura cinque giorni, a norma di legge, e scaduto tale termine, meglio buttarlo. Lo yogurt, invece, può essere consumato anche qualche giorno dopo la scadenza (3-4), così come le uova, che scadono trascorsi 28 giorni dalla loro deposizione e si possono mangiare a distanza di due o tre giorni da tale termine. I formaggi meritano un’ulteriore distinzione: quelli a pasta dura e stagionati non soffrono troppo né il tempo che passa né eventuali formazioni di muffa (eliminata restano commestibili); i formaggi freschi a pasta molle, invece, non dovrebbero essere consumati dopo la scadenza indicata in etichetta.
 
Alimenti a lunga conservazione. I cibi secchi, come pasta e riso, ma anche biscotti e fette biscottate, per definizione sono alimenti a lunga conservazione, con scadenze che vanno dai due ai tre anni in media. Quindi, una volta scaduti, qualche settimana non fa sicuramente la differenza. Lo stesso discorso vale per gli alimenti in scatola, come il tonno per esempio, che solitamente dura ben cinque anni.

Parole di Camilla Buffoli