Dopo mesi di minacce e tensioni, alla fine, Donald Trump ha deciso di applicare a tutti i prodotti UE il 15% di dazi. Si tratta della tariffa base concordata con l’accordo del 27 luglio con Ursula von der Leyen. Per chip e semiconduttori, il presidente statunitense vorrebbe però imporre delle gabelle al 100%, in modo che le aziende tecnologiche producano solo negli USA. E si sta cercando ancora di trattare per un’esenzione.
Sui prodotti farmaceutici si partirà da una tariffa sotto l’80% che, progressivamente, arriverà fino a 250%. Si era parlato di un’esenzione per il vino, ma anche le bevande alcoliche (vino, birra e superalcolici) subiranno un dazio al 15%. Su auto e acciaio, la tariffa dovrebbe essere del 15–25%. Ma Trump sta negoziando in separata sede con la Germania.
“Se l’UE non investirà 600 miliardi negli USA, i dazi saliranno al 35%”, così ha dichiarato di recente il tycoon, in un’intervista alla CNBC. Quindi, l’accordo attuale, che prevede una tariffa massima del 15%, è condizionato agli investimenti europei in beni e società statunitensi.
I consumatori europei temono già rincari generalizzati. Anche i mercati sembrano spaventati. Per esempio, il settore del credito potrebbe subire una risalita dei tassi, dopo i vari tagli voluti dalla BCE nei mesi scorsi. Claudia Buch, presidente del Consiglio di Vigilanza della BCE, ha spiegato che l’inasprimento dei dazi doganali e le tensioni geopolitiche stanno di fatto rimodellando lo scenario operativo delle banche europee.
Cosa succederà con l’introduzione dei dazi di Trump
La reazione dei mercati all’introduzione delle tariff trumpiane è stata breve ma intensa. Abbiamo già a che fare con un evidente aumento della volatilità, con richieste di margine e con spread di finanziamento in crescita. Ma, per ora, il sistema finanziario ha retto. Le previsioni dicono che le banche potrebbero presto finire sotto stress. Gli effetti dei dazi sull’economia reale, però, dovrebbero vedersi solo nel medio e lungo termine.

Per prima cosa, i dazi metteranno in difficoltà alcuni esportatori. Ma indirettamente, rallentando gli scambi, danneggeranno le imprese e faranno aumentare il rischio di debiti. Di conseguenza, per proteggersi, le banche potrebbero dover accantonare più riserve per coprire i prestiti a rischio. E potrebbero essere più selettive nei finanziamenti e negli investimenti.
Lo stress test europeo del 2026 valuterà la resilienza degli istituti di credito in uno scenario avverso, con dazi elevati e in un contesto di instabilità geopolitica. Ma per i consumatori e i semplici contribuenti l’effetto non si vedrà subito. Buch ha comunque chiarito che le conseguenze concrete dei dazi sull’economia potrebbero colpire i soggetti più fragili e le imprese più esposte. Ecco perché le banche sono già state chiamate a capire quali clienti aziendali sono più vulnerabili ai costi del commercio internazionale.
Va chiarito che i dazi saranno pagati dagli importatori statunitensi e non dai consumatori europei. E, per ora, l’UE non ha imposto controdazi. Dunque, i prodotti americani non aumenteranno di prezzo in Europa. A breve termine, secondo gli analisti, non si profila un vero pericolo inflazione. A lungo termine, si vedrà. A quel punto, potrebbero crescere i prezzi di molti prodotti e delle bollette, così come dei prestiti e dei mutui.