Vivian Maier: a Milano una mostra dedicata alla bambinaia fotografa

Le opere di Vivian Maier, la controversa bambinaia fotografa, verranno esposte a Milano in una mostra a lei dedicata: "Vivian Maier. La fotografa ritrovata."

Vivian Maier: a Milano una mostra dedicata alla bambinaia fotografa

La storia è piena di geni incompresi, spesso relegati in un passato remoto, che non ci appartiene e che, quindi, non ci tocca. Quando il genio però è una persona qualunque, un individuo che ognuno di noi potrebbe incrociare sulla propria strada, ci sentiamo pervadere da una strana, inspiegabile sensazione. Curiosità e speranza. Come se la luce, per un attimo, potesse penetrare nelle nostre esistenze quotidiane, rischiarandole. Peccato che spesso, questi geni, sfuggano alla vita senza alcun riconoscimento. Così è stato anche per la bambinaia Vivian Maier, nata a New York il 1 febbraio 1926, ignara del successo che l’avrebbe attesa dopo la morte. Come ignare, del suo genio, erano le famiglie borghesi presso cui prestò servizio per l’intera vita. Dopo anni di silenzio, la sua opera è stata ritrovata dal fotografo John Maloof e il 19 novembre, a Milano, presso Forma Meravigli, avrà inizio la mostra, “Vivian Maier. Una fotografa ritrovata“.

Vivian Maier, sotto quel volto spigoloso, i modi rudi, le durezze e le ossessioni che la perseguitavano, celava una vera e propria vocazione per la fotografia. Non volle mai condividerla, forse per paura di esporsi, forse perché odiava l’umanità. Il suo carattere, d’altronde, era a dir poco sfaccettato. Alcuni dei bambini, oggi adulti, che ebbero modo di conoscerla, hanno infatti riportato pareri discordanti . Se c’è chi, addirittura, l’ha paragonata a “Mary Poppins” per l’assoluta imprevedibilità, sono in molti ad averla descritta come una donna cupa, rigida, crudele, minacciosa.

La professione di baby-sitter, che Vivian non amava, le offriva l’opportunità di rinchiudersi in un mondo tutto suo, inviolabile. Sotto mentite spoglie il suo sguardo indagatore, molto acuto, poteva posarsi ovunque con assoluta nonchalance. Grazie all’intermediazione della Rolleiflex, da cui era inseparabile, Vivian trovava il coraggio di entrare in contatto con l’umanità circostante. E con la sua umanità interiore. Ecco perché non poteva, non voleva, separarsene. Ma guai a dirlo. Guai a violare quel segreto. Inconfessabile.

Perché Vivian ne avesse così paura non è dato a sapersi. Ma una cosa è certa, dietro i caratteri più difficili spesso si celano profonde insicurezze, cicatrici insanabili. E allora, per evitare il dolore adottiamo atteggiamenti fuorvianti. A volte ci trinceriamo dietro una rigidità esasperata. L’apparenza inganna il mondo ma il fiume delle emozioni continua a imperversare, chiedendo a gran voce di essere ascoltato. Succede spesso agli artisti e così è stato anche per Vivian Maier. La fotografia, probabilmente, le permetteva di essere se stessa fino in fondo, di scandagliare la realtà circostante con sguardo curioso, insaziabile, attento ai dettagli e alle imperfezioni di chi finiva nel suo obiettivo. Lei stessa amava immortalarsi riflessa nelle vetrine e nelle pozzanghere, misteriosa e inafferrabile.

Informazioni sulla mostra

Oltre 150mila negativi, moltissime pellicole non sviluppate, film in super 8 o 16 millimetri, stampe, appunti, documenti: è l’archivio di Vivian Maier, confiscato nel 2007 per il mancato pagamento dell’affitto, scoperto in seguito, durante un’asta, dal fotografo, allora agente immobiliare, John Maloof. Fu lui ad accorgersi per primo del valore inestimabile delle opere di Vivian Maier, tanto da dedicarsi anima e corpo al loro ritrovamento, arrivando ad archiviare più di 150.000 negativi e 3.000 stampe.

E ora, in omaggio alla genialità della bambinaia fotografa, Milano, presso Forma Meravigli, ospiterà dal 19 novembre al 31 gennaio 2016, la mostra “Vivian Maier. Una fotografa ritrovata”, a cura di Anne Morin e Alessandra Mauro, in collaborazione con diChroma Photography e promossa da Forma Meravigli. Verranno esposte 120 fotografie in bianco e nero, alcune immagini a colori e filmati in super 8, che raccontano con realismo la società Americana del dopoguerra.

Parole di Laura De Rosa