Suhaiymah Manzoor-Khan, l'integrazione per una poetessa pachistana

Ha 22 anni, è una giovane donna di origini pachistane e ha una passione innata per la poesia. Le sue riflessioni sui temi di attualità, come la guerra, le discriminazioni e l'integrazione tra Islam e Occidente stanno assumendo carattere di una nuova prospettiva sulla realtà. Ha partecipato al concorso letterario Poetry Slam, in Inghilterra, e pur senza vincere ha già conquistato migliaia di persone.

Suhaiymah Manzoor-Khan, l’integrazione per una poetessa pachistana

Suhaiymah Manzoor-Khan è una poetessa pachistana di 22 anni, che ha tradotto in versi la sua profonda analisi dell’integrazione in un mondo in cui, spesso, Islam è diventato sinonimo di terrore. Ha una laurea a Cambridge, e si occupa di scrittura prediligendo temi come la guerra, il femminismo, le discriminazioni razziali e il controverso rapporto tra Oriente e Occidente. Nel blog The Brown Hijab, è possibile leggere i suoi scritti, uno dei quali è una poesia che ha conquistato migliaia di persone pur non aggiudicandosi la vittoria al celebre concorso letterario Poetry Slam, organizzato dall’associazione londinese Roundhouse. Il suo secondo posto nella competizione per giovani talenti della letteratura non ha messo in sottofondo la luce della sua grandezza di pensiero, e oggi la sua interpretazione è diventata virale in Rete. Un inno all’integrazione e alla libertà, declamato da una ragazza che pur nella sua fragilità di donna nasconde un’eccezionale forza d’animo e intelletto.

Secondo posto al Poetry Slam: la sua poesia ora è virale

Nonostante il secondo posto al Poetry Slam, la poesia di Suhaiymah Manzoor-Khan ha ottenuto un successo che forse neppure la sua autrice avrebbe immaginato. Complice il video della sua semplice e minimalista interpretazione, cui si aggiunge il potente messaggio di speranza per un’umanità che riscopre se stessa, ha ottenuto oltre 10mila visualizzazioni in poche ore.
A colpire maggiormente, nella sua opera, sono la libertà e l’onestà intellettuale con cui affronta un tema delicato come quello dell’integrazione e del collaterale alone di sospetto intorno all’Islam, frutto delle deformazioni interpretative di una religione alla ricerca di un riscatto.
“Scrivendo un poema sull’umanità, la penna e la carta mi hanno guidata nel descrivere quanto sono sbagliati i preconcetti”, scrive Suhaiymah, catturando subito la platea in un silenzioso clima di attenzione e intimità. I versi che seguono, sono la sintesi finora nascosta di un universo umano, diverso, questo sì, ma non per questo meno sensibile e degno di rispetto.

Vedere oltre le cose: “Racconta loro che conosci ragazzi colorati che piangono”

La penna della giovane poetessa affonda nel senso di parole spesso inespresse, di chi cerca di superare le diffidenze nutrite nel nome di un bisogno di omologazione e apparenza che tutto accomuna, e rende familiare. Ma in un particolare verso della poesia, Suhaiymah Manzoor-Khan sembra davvero saltare oltre l’ostacolo dei preconcetti, illuminando il pubblico con una verità tanto banale quanto ignorata: “Racconta loro che conosci ragazzi colorati che piangono”.
Eppure, dopo questa frase, che potrebbe sembrare uno sterile atto di autocommiserazione, la giovane artista spiazza l’ascoltatore con qualcosa di ancor più profondo e azzardato: “No, non è questa la cosa giusta da dire. Ho messo giù la mia penna. La poesia non mi obbligherà a scrivere questo, perché questa non è la poesia che voglio scrivere, è quella che sono costretta a scrivere perché deve dimostrare la mia umanità”.
E quasi a spogliarsi di ogni bella parola, preconfezionata per piacere al resto del mondo che la osserva, la 22enne dichiara l’essenza di novità dei suoi versi: “Questa non sarà una poesia del tipo ‘i musulmani sono come noi’.

Il concetto di “umanità” oltre le frasi fatte

Come un’arma nelle mani della conoscenza, la poetessa si abbandona alla sezione più forte e incisiva della sua visione del concetto di umanità: “Amateci quando saltiamo la scuola, quando facciamo shopping dove non vi piace, quando siamo silenziosi, senza casa, anche violenti. Quando non siamo atleti, quando non facciamo torte, quando non apriamo le nostre case o offriamo i nostri taxi dopo un fatto tragico, quando siamo nudi, con istinti suicidi e non contribuiamo a niente. Amateci allora. Perché se avete bisogno che provi la mia umanità, allora non sono io quella che non è umana”.

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Parole di Giovanna Tedde