Mononucleosi in gravidanza: sintomi, rischi, contagio e conseguenze

La mononucleosi in gravidanza non è una malattia pericolosa per mamma e bambino se causata, come accade nella maggioranza dei casi, dal virus Epstein-Barr. Ne esiste tuttavia un'altra forma insidiosa per il feto. Scopriamone i principali sintomi, i rischi correlati, le modalità di contagio e le possibili conseguenze.

Mononucleosi in gravidanza: sintomi, rischi, contagio e conseguenze

Scopriamo sintomi, rischi, contagio e conseguenze della mononucleosi in gravidanza per rispondere ai dubbi e alle paure delle future mamme, che temono interferenze con il buon esito della gestazione. Da premettere, che anche se contratta durante i nove mesi, la mononucleosi provocata dal virus Epstein-Barr detta anche “malattia del bacio”, che è la più diffusa in assoluto, non deve allarmare troppo. Tuttavia ne esiste un’altra forma, provocata da un diverso virus, che invece può risultare insidiosa soprattutto per il bambino. Ma vediamo nello specifico quali sono le conseguenze, la cura e i sintomi che di solito la contraddistinguono.

Come avviene il contagio

Nella maggioranza dei casi la mononucleosi virale in gravidanza è dovuta al virus Epstein-Barr, appartenente alla famiglia degli herpes virus. Il contagio avviene di solito attraverso le vie respiratorie, in particolare, tramite il contatto con la saliva di una persona infetta. Non a caso, infatti, si parla di malattia del bacio. Ma la mononucleosi può essere trasmessa anche tramite urine, secrezioni vaginali, sperma. La trasmissione al bambino avviene invece attraverso la placenta o durante il parto.

Una volta entrato nell’organismo, questo fastidioso microrganismo si replica nelle cellule della faringe, rimanendo inizialmente nelle alte vie respiratorie e poi passando, trasportato dai linfociti (un tipo di globuli bianchi), in tutto il resto dell’organismo. Come tutte le infezioni virali, la mononucleosi negli adulti non è trattabile con gli antibiotici e resta per sempre nel corpo della persona contagiata, seppure in forma latente. La riattivazione della mononucleosi pregressa avviene in momenti delicati come la gravidanza, durante i quali il sistema immunitario risulta indebolito.

Quanto dura la mononucleosi e come si diagnostica

Di solito la durata è abbastanza lunga, c’è infatti un periodo di incubazione nell’adulto che va dai 30 ai 50 giorni. E’ diagnosticabile attraverso un test, che è un normale prelievo del sangue; se il monotest risulta negativo e sussistono tuttavia sintomi, come supporto nella diagnosi si possono usare anticorpi diretti contro il virus di Epstein-Barr (EBV).

I sintomi della mononucleosi negli adulti

Dopo un periodo di incubazione, che varia da pochi giorni a tre settimane, la mononucleosi, diffusa anche tra i bambini, comincia a manifestarsi con alcuni sintomi come:

  • mal di testa
  • mal di gola
  • malessere generale
  • leggero ingrossamento della milza

Trascorsi alcuni giorni, anche le ghiandole del collo possono gonfiarsi, oltre che quelle di ascelle e inguine, diventando doloranti. In alcuni casi, può comparire anche febbre alta, ittero, infiammazione delle cellule del fegato, eritema cutaneo. Considerando la natura dei sintomi e il fatto che di solito non tutti si presentano, spesso la mononucleosi viene confusa con una banale influenza. Tuttavia se il test conferma una mononucleosi da Epstein-Barr non c’è da preoccuparsi, diverso il caso di una mononucleosi provocata dal Citomegalovirus, che però come abbiamo visto è meno diffusa.

La cura della mononucleosi in gravidanza

La mononucleosi in gravidanza è pericolosa? La risposta è no se si tratta di mononucleosi provocata dal virus Epstein-Barr. In questo caso, anche se contratta durante la gravidanza rimane pressochè innocua. Difatti che ci sia o meno il pancione, i sintomi dell’infezione tendono a risolversi spontaneamente nell’arco di poche settimane.

E’ comunque utile tenere presenti alcune avvertenze, considerata la gravidanza in atto. È fondamentale che la gestante, soprattutto quando i sintomi sono più evidenti, si conceda una buona dose di riposo, per evitare di sottoporre il suo organismo a ulteriori stress e sforzi. Da sottolineare, infatti, che l’organismo è già piuttosto impegnato: da un lato a portare avanti la gravidanza, con tutti gli stravolgimenti che comporta, e dall’altro lato per contrastare l’azione del virus responsabile della malattia.

La mononucleosi e il Citomegalovirus

Esiste però anche un’altra forma di mononucleosi provocata dal Citomegalovirus, che fa sempre parte della famiglia degli Herpes Virus. Questo tipo di mononucleosi, contratta nelle prime settimane, è pericolosa perché comporta rischi per il feto o il neonato. Per fortuna questa forma di mononucleosi è molto meno diffusa dell’altra. Può essere diagnosticata attraverso il consueto test, che è un normale prelievo del sangue. Inoltre nelle prime 16 settimane di gravidanza, per verificare se il feto è stato contagiato, si possono effettuare la villocentesi e l’amniocentesi in gravidanza.

Il contagio può avvenire in modi diversi, per esempio attraverso il contatto intimo e la trasfusione di sangue infetto o il trapianto di organi infetti. Nei neonati avviene nell’utero tramite il sangue materno infetto, al momento della nascita o attraverso il latte materno.

Possibili rischi per il feto della mononucleosi dovuta al Citomegalovirus

Se trasmessa nel primo trimestre può essere pericolosa perché può alterare la formazione degli organi e degli apparati del bambino. Le principali e più diffuse conseguenze sul feto sono:

  • sviluppo cerebrale ridotto
  • ritardo nell’accrescimento del feto
  • infezioni agli occhi
  • problemi di coagulazione del sangue

Se l’infezione è trasmessa nel terzo trimestre il neonato nasce sano ma potrebbero manifestarsi conseguenze durante la crescita, tra cui:

  • deficit motori
  • sordità
  • ritardo mentale

La cura della mononucleosi da CMV

Di solito la madre infetta viene trattata con immunoglobuline trasmesse per via endovenosa, ogni mese. Se il CMV infetta il feto, viene curato con dosaggi di anticorpi regolari, che lo aiutano a contrastare il virus in modo da evitare il più possibile il rischio delle conseguenze sopraccitate.

Parole di Laura De Rosa