La storia di Grace: come si riconosce la violenza contro una donna

La seconda puntata di una storia verosimile che racconta la violenza sulle donne

La storia di Grace: come si riconosce la violenza contro una donna

Incontro Maria Grazia in un pomeriggio d’autunno nel mio studio. Francesca mi aveva parlato sin da poco prima dell’estate dell’incontro con la sua vecchia amica Grace, ma eravamo riuscite a fissare un appuntamento solo a distanza di mesi, causa i continui rinvii, generalmente motivati con impegni delle bambine e poi, naturalmente, le vacanze. Entro in sala riunioni dove sedute ad attendermi trovo due belle donne, una molto curata che identifico immediatamente in Grace, l’altra evidentemente più “easy” che mi sorride, presentandosi come Susanna, sorella di Grace. Mi presento a mia volta e chiedo a Grace di raccontarmi cosa stia accadendo con suo marito e con le sue bambine, spiegandole sin da subito che tutto ciò che avrebbe detto non sarebbe uscito dalla sala riunioni, a meno che lei stessa non avesse deciso di agire nei confronti di Gianluigi. Le spiego anche che il mio ruolo è di illustrarle se, da quello che mi avrebbe raccontato, emergesse la violazione di suoi diritti, ovvero delle figlie, e, in tal caso, di indicarle gli strumenti a tutela di questi diritti.

Prende la parola per prima Susanna e mi parla del fatto di essersi ritrovata con Grace durante l’estate. Erano diversi anni, dice, che le loro frequentazioni si erano diradate, ma quell’estate Grace aveva trascorso quindici giorni al lago, in casa dei genitori, insieme alle bambine. Alla prima occasione in cui si erano viste, durante una cena in compagnia di diversi amici, aveva notato sua sorella, triste, incapace di sorridere ai racconti goliardici tipici di una cena spensierata come quella. Sapeva già, aggiunge, che Grace aveva deciso di stare al lago a causa dell’assenza per quei quindici giorni di Gianluigi, partito con il suo aereo in giro per spiagge europee. Sapeva anche della crisi che la coppia stava attraversando, per la quale lei stessa aveva consigliato a Grace, mesi prima, di parlare con l’amica Francesca.

Taglia corto e mi dice che, giorni dopo la cena, Grace le aveva raccontato che, prima della partenza di Gianluigi, gli aveva proposto di partire da soli, approfittando della possibilità che le bambine partecipassero ad un rinomato campo scuola cui loro stesse avevano chiesto di poter andare, insieme ad alcune amichette. Gianluigi le aveva invece detto che avrebbe dovuto stare con le bambine, che erano troppo piccole per andare via sole, che era una madre snaturata. Piuttosto, sarebbe stato lui a prendersi una vacanza da solo, il troppo lavoro durante l’anno lo richiedeva senz’altro, mentre Grace lo aveva trascorso, al solito, a far nulla.

LEGGI COME COMINCIA UNA STORIA DI VIOLENZA

Grace non si era data per vinta ed aveva tentato di convincerlo della bontà del campo scuola, da una parte, e di quanto sarebbe stato bello viaggiare insieme, come tanto tempo prima avevano fatto. Una sera gli aveva preparato una cena a sorpresa, con i suoi piatti preferiti. Lo aveva atteso sino alle 21:00 invano, poi lo aveva chiamato per sapere se stesse rientrando, ma Gianluigi non le aveva risposto. Aveva proseguito comunque ad attenderlo, fino alla 23:00 circa, quando, finalmente, Giangi aveva varcato la soglia di casa. Con le candele ancora illuminate, Grace gli aveva chiesto se volesse mangiare. Gianluigi si era tuffato sul divano, dicendo di aver cenato e di essere stanco. Grace si era seduta accanto a lui e, avvicinandosi, aveva colto la palla al balzo per esprimergli il desiderio di partire soli, anche perché lui potesse rilassarsi e riposare.

Gianluigi, forse un po’ alticcio, la aveva respinta così forte da farla cadere dal divano, urtando contro l’antistante tavolino di cristallo. Grace se ne era andata a dormire in silenzio ed il mattino dopo si era ritrovata un grosso livido su una gamba. Susanna conclude dicendo che, dopo quell’episodio, sua sorella aveva deciso di lasciarlo andare solo e di trascorrere quel periodo al lago.

Mi rivolgo a Grace, allora, e le chiedo se quella fosse stata la prima volta in cui Gianluigi era stato violento. Grace, senza guardarmi, mi risponde di no, che, poco prima che parlasse con Francesca, le aveva picchiato una teglia in testa e che, in qualche occasione, la aveva schiaffeggiata. La interrompo e le rappresento che quei gesti costituiscono un reato per il nostro ordinamento, più o meno grave, a seconda degli effetti in termini fisici. Il singolo gesto (colpo con la teglia, spintone o schiaffo), infatti, costituisce una percossa. Ma se il gesto in sé produce ematomi o, peggio, disfunzionalità di tipo fisico, si verifica un fatto più grave, le lesioni dolose cioè.

Naturalmente Grace mi risponde che, a parte il dolore del momento (evidentemente non solo quello fisico), l’unico effetto che aveva riscontrato sinora era l’ematoma, duratole per almeno 10 giorni. Le faccio allora presente che, qualora si fosse recata al pronto soccorso a farsi visitare, sarebbe stata dimessa con un referto che avrebbe quantificato la durata di quegli effetti (che la legge definisce malattia). Le spiego anche che, se la durata non supera i venti giorni, solo lei avrebbe potuto denunciare Gianluigi. Le lesioni con malattia inferiore ai venti giorni sono procedibili, infatti, solo a querela della vittima, proponibile non oltre tre mesi dal verificarsi del fatto.

Chiedo a Grace se, durante questi episodi, le bambine fossero presenti in casa e se avessero modo di sentire o capire cosa succedesse tra i genitori. Mi risponde che una delle due, Amelie, si trovava dall’altra parte di una porta a vetri quando il papà aveva dato uno schiaffo alla mamma. Spiego, allora, che il fatto che Gianluigi avesse in più di un’occasione percosso Grace, causandole eventualmente delle lesioni, avrebbe potuto configurare un altro reato: i maltrattamenti in famiglia, che si caratterizzano proprio per il ripetersi nel tempo di condotte violente, anche solo sotto il profilo psicologico. Aggiungo che, trattandosi di un fatto più grave, la nostra legge ne prevede la procedibilità d’ufficio, dunque, indipendentemente dalla denuncia della vittima. Anche le lesioni, peraltro, se commesse in occasione di una condotta ripetuta nel tempo, diventano procedibili d’ufficio.

Rappresento, quindi, a Grace che la procedibilità d’ufficio, per le lesioni e per i maltrattamenti, oltre al fatto che l’aver schiaffeggiato Grace in presenza di una delle bambine aggrava la pena prevista per le lesioni stesse, esporrebbero Gianluigi a rischi piuttosto seri, a partire dal dover rispondere davanti ad un giudice penale per questi fatti, doversi difendere, come sarebbe suo diritto, fino ad essere eventualmente condannato.

Naturalmente Grace controbatte che, senza una sua denuncia, tutto questo non potrebbe mai accadere. Mi limito a segnalarle che anche sua sorella, ad esempio, potrebbe recarsi in un Comando dei Carabinieri e denunciare i maltrattamenti (proprio perché procedibili d’ufficio) e che la stessa cosa potrebbe fare un vicino di casa, qualora, la situazione degenerasse tanto da sollecitarne l’attenzione. La rassicuro, tuttavia, che, in ultima analisi, la scelta sul come muoversi e cosa fare è sola sua e che, senz’altro, dovrebbe considerare le conseguenze sia del non far nulla e lasciare tutto così com’è, nella speranza che le cose non peggiorino, sia dell’agire che inevitabilmente rischierebbe di stravolgere gli equilibri – se tali possano definirsi – familiari.

Ci salutiamo con una stretta di mano, Grace, ringraziandomi, mi guarda finalmente negli occhi. Credo che si farà risentire, magari confrontandosi prima con Francesca.