La storia di Grace: come comincia la violenza contro una donna

La prima puntata di una storia verosimile che racconta la violenza sulle donne

La storia di Grace: come comincia la violenza contro una donna

«Freeency!!», il cellulare mi urla nell’orecchio. «Grace!!», rispondo stupita, nel riconoscere l’amica che non sento più da 15 anni.

In realtà si chiama Maria Grazia, ma Grace è il soprannome che noi amiche le abbiamo dato quando si è sposata con il Giangy, Giangaleazzo, rampollo di una famiglia di industriali attribuendole un destino da Principessa.

Lei, appena laureata, era andata a fare uno stage nella ditta del padre di lui, lì si erano conosciuti, visti e piaciuti e in un anno convolati a nozze dopo una proposta di matrimonio su una spiaggia Caraibica con tanto di bracciale di diamanti con il suo nome a lettere cubitali.

Dopo il Capodanno del 2000, cui la coppia aveva partecipato con la nostra vecchia compagnia di amici, pian piano i rapporti si erano allentati, complice la nascita di 2 gemelle e i continui viaggi di lavoro del Giangy. E forse la sua preferenza per i suoi amici e non per quelli della moglie.

Noi amiche, parlando di lei, ritenevamo che Grace non solo non avrebbe mai dovuto occuparsi a tempo pieno, pur ovviamente non lavorando, di casa, bimbi e marito ma che, probabilmente, non avrebbe neppure mai sciacquato un bicchiere da champagne…

Dopo un rapido excursus sul tempo passato dall’ultimo incontro, Grace mi chiede: «so che fai sempre l’avvocato, scusa ma avrei bisogno di chiederti due cosette, niente di urgente: non è uno di quei casi di violenza di cui ti occupi tu e che leggo sui giornali, quand’è che ci vediamo?»

Rido e rispondo che non la riconoscerò più e che dovrà mettersi una sciarpa rosa (il suo colore prediletto) come segno di riconoscimento. L’appuntamento è fissato per giovedì in quello che un tempo era il nostro bar preferito.

Quindici anni dopo, quindici chili in più ma sempre appollaiata sui suoi tacchi 12, arriva Grace. La prima cosa che noto sono i suoi occhi, spenti e opachi, pur se contornati da ombretto e mascara, e il look impeccabile.

Davanti a una spremuta arancio, pompelmo e fragole, il nostro cocktail estivo da oltre 30 anni, Grace inizia a raccontare la meravigliosa vita coniugale dei primi anni di matrimonio: viaggi, regali, un marito affettuoso e la nascita di Bebe (Beatrice) e Amelie (si, come il film), le gemelline – ops – le Principessine, più belle del mondo.

Dopo poco, però, la fiaba della vita di Grace, cambia colore. E il rosa diviene rosso e l’azzurro dei cieli tropicali si riempie di nubi minacciose.

Dapprima il Giangy, esausto per la sua intensa attività lavorativa di manager rampante, dopo la nascita delle figlie, comincia a non frequentare più la famiglia d’origine di Maria Grazia in quanto troppo stanco di andare fino a Como, per il week end, preferendo invece prendersi il brevetto di pilota, attività che lo rilassa e lo allontana per qualche ora dagli strilli delle due piccoline, accudite peraltro 24 ore su 24 da una tata tedesca e sistemate in un’ala dell’immenso appartamento nel centro di Milano, opposta alla zona dei genitori.

Grace all’inizio protesta, poi si organizza per andare da sola dai genitori al lago, portandosi dietro le bimbe e la tata ma, col tempo, dirada gli incontri, stanca di sentirsi chiedere come mai il Giangy non ci fosse. Cessa così di frequentare anche la sorella e la famiglia di lei, le amiche di sempre del lago ,limitando gli incontri alle feste comandate.

Il nuovo sport del marito fa sì che, invece, egli frequenti nuove compagnie, organizzi trasferimenti e viaggi ai quali la moglie e le bimbe non possono partecipare, lasciandola per periodi sempre più lunghi da sola. Nel frattempo anche la generosità di Giangy viene sempre meno e, dopo aver cambiato il conto corrente cointestato ove Maria Grazia poteva attingere per i bisogni personali e di famiglia senza limiti, per motivi – a suo dire – fiscali, le fa utilizzare solo una carta di credito su cui, a propria esclusiva discrezione, decide di mettere più o meno denaro.

Durante le assenze sempre più frequenti, però, diviene ossessivo: continue telefonate e messaggini per sapere esclusivamente dove Maria Grazia si trovi e cosa stia facendo, contrarietà ad abiti – a suo dire – provocanti, a costumi e biancheria ritenuta osè.

Ad un certo punto Grace mi confida di aver capito che il marito la controlla e che sa sempre dove si trovi, pur non capendo come faccia.

Il tempo passa, le Principessine iniziano le scuole elementari e Grace spera in una possibile ricostruzione anche della propria vita di coppia. «Freeency – mi dice – il Giangy ha un aereo suo, con cui va dappertutto, possibile che non mi abbia mai portata? E che mi controlli anche la bolletta del telefono??»

«La situazione è andata avanti fino a 2 anni fa nel solito modo, ma – continua Grace – ora ci sono cose che non so se devo continuare a sopportare. Non che sia violento, ma l’atteggiamento di Giangy mi esaspera! Ha messo una telecamera nascosta sulla porta per controllare quando esco e quando torno e, a volte, ripete frasi che io ho detto al telefono o sa se sono stata in un posto in un altro. Lo so che lo fa per me, me lo dice sempre, è per questo che mi ha anche regalato il cellulare nuovo con google maps!»

A questo punto vedo Grace sotto occhi diversi: non più la principessa del castello ma la prigioniera del castello! Più Raperonzolo che Grace e dubbi sempre più preoccupanti mi attanagliano.

«Poi – aggiunge – settimana scorsa, mentre facevo la torta per la festa di fine scuola delle gemelle (Maria Grazia è stata sempre una cuoca eccezionale), quando gli ho chiesto come mai a casa non arrivava più la sua posta si è talmente arrabbiato che ha preso la teglia e me l’ha sbattuta in testa, causandomi un bernoccolo grande così! Dopo mi ha chiesto scusa, perché lui non è cattivo, ma proprio io non lo capisco, se ci fossero state Bebe e Amelie in cucina? Cosa sarebbe successo?»

«E poi – conclude – questo continuo pedinarmi quando io non so mai dov’è e non mi risponde neppure al cellulare! E se avessi bisogno di qualcosa per le bimbe? E se facessi io come lui? Cosa mi farebbe? Si lo so che tu ti occupi di ben altro tipo di situazioni, ma volevo solo un consigli. So che la mia storia non è nulla al confronto di quelle che segui tu, ma mia sorella Susy, che lo sa e che ti conosce, mi ha detto di parlartene e chiedere a te».

A questo punto, sono passate 2 ore, decido di chiedere a Grace se ha voglia di fissare un appuntamento allo studio per conoscere Maria, la mia collega che si occupa del lato penalistico delle questioni di famiglia, e iniziare con noi un percorso informativo sulla la violenza di genere, per la tutela dei suoi diritti e delle sue bambine.

Questo articolo riporta un episodio non realmente accaduto, ma direttamente riconducibile all’attività dell’autrice, l’avvocato Francesca Passerini. Nomi e personaggi, tranne Frency che raffigura la stessa Passerini, sono di fantasia. Tuttavia rappresentano molte donne che la stessa avvocatessa ha incontrato durante il suo lavoro. Con questa storia si vuole raccontare, in modo semplice e immediato, come è possibile riconoscere l’inizio delle violenze domestiche, per poi seguire, tramite le vicissitudine della protagonista Greace, l’iter più corretto ed efficace per tutelarsi.