Italia "avvelenata", il Ministero della Salute rende noti i siti più inquinati e pericolosi

L’Istituto Superiore di Sanità ha reso nota una mappa della aree del territorio italiano più pericolosi per la popolazione a causa di inquinamento forte e mancate bonifiche

Italia “avvelenata”, il Ministero della Salute rende noti i siti più inquinati e pericolosi

Esiste un’Italia dei “veleni”, intossicata da smog e inquinamento, che pregiudicano la qualità della vita e minano la salute di chi abita in tali aree. Il Ministero della Salute ha perciò deciso di rendere noti i siti della penisola che sono maggiormente pericolosi proprio a causa della fortissima concentrazioni di sostanze nocive che comportano un aumento considerevole dell’incidenza di patologie anche gravi come i tumori, ma non solo. Ai primi posti, purtroppo, troviamo tutti quei siti che sono stati contaminati dall’amianto, come Casale Monferrato (dove aveva sede la Eternit), ma anche Balangero e la Fibronit di Bari, luoghi “malati” che hanno portato alla morte, per malattie collegate con la contaminazione da questo metallo come il tumore alla pleura, centinaia di persone.

Naturalmente, immediatamente dopo, vengono tutte le zone industriali in cui siano presenti impianti petrolchimici e siderurgici (come le acciaierie), tra cui Gela, Taranto, Porto Torrese e Porto Marghera. Si tratta di aree in cui è decisamente superiore alla norma l’incidenza di casi di decesso da tumore al polmone o malattie gravi dell’apparato respiratorio.
 
Chi vive in località caratterizzate da inquinamento da metalli pesanti (dalla lavorazione degli idrocarburi) come Piombino, Massa Carrara, Orbetello, Falconara, Porto Torres e Milazzo, va più frequentemente incontro a malattie dei reni, come l’insufficienza renale e patologie urinarie. In tutto le zone a rischio sparse sul territorio italiano sono 44, la maggior parte delle quali concentrate nel Mezzogiorno e nelle isole, che interessano complessivamente 298 comuni per una popolazione di 5,5 milioni di abitanti.
 
Si tratta, per lo più, di aree in cui sarebbe stata necessaria un’opera di bonifica (inserita in decreti legge da diversi Governi e mai effettuata) perché magari gli stabilimenti sono ormai dismessi, il che non significa automaticamente uno stop all’inquinamento. Secondo lo studio, negli anni compresi tra il 1995 e il 2002, le morti che si sarebbero verificate in questi siti tossici sarebbero 10mila in più rispetto alla media nazionale, tenendo conto delle diverse patologie che hanno causato questi decessi, e l’età media.
 
“Lo studio fotografa la situazione sanitaria di una porzione rilevante del Paese determinata dall’inquinamento industriale degli anni ’50-’70. Un tributo pagato dalle popolazioni locali all’industrializzazione del Paese, che ha lasciato un segno pesante nella contaminazione dei suoli e delle falde, dei fiumi e nei tratti di mare antistanti le aree più critiche”, spiega Pietro Comba dell’ISS.
 
“I prossimi passi prevedono l’analisi in queste aree delle malattie e dei ricoveri per vedere se ad una aumentata mortalità corrisponde anche, com’è prevedibile, un maggior carico di malattie di natura ambientale, e quanto questa situazione perduri ancora oggi”, conclude Comba. Tanto resta da fare, dunque, con l’auspicio che si cominci per davvero a rimettere in sesto questo bellissimo Paese in cui c’è data la fortuna, la responsabilità (e il tormento), di vivere.

Parole di Paola Perria