Elisabetta Silva, Presidente ADGI: "La discriminazione più grande che le donne vivono In Italia è la violenza"

Intervista a Elisabetta Silva, Presidente dell'ADGI, l'Associazioni donne giuriste italiane che da dieci anni si occupa di combattere le discriminazioni femminili in ogni ambito sociale e lavorativo.

Elisabetta Silva, Presidente ADGI: “La discriminazione più grande che le donne vivono In Italia è la violenza”

ADGI, Associazione Donne Giuriste Italiane arrivata proprio nel Marzo 2016 al suo decimo anno di vita, ha l’obiettivo di combattere (e sconfiggere) ogni forma di discriminazione nei confronti delle donne. Nata a Milano 10 anni fa grazie all’impegno iniziale di 5 donne con l’unico obiettivo di accorciare le distanze presenti, allora più di ora, fra il percorso maschile e quello femminile in ambito lavorativo come nella vita di tutti i giorni. Per capire meglio a che punto siamo, in Italia e non solo, quanto è stato fatto a livello sociale e giuridico ma quanto è ancora possibile e necessario fare, abbiamo intervistato Avv. Elisabetta Silva attuale Presidente dell’Associazione a Milano.

Come è nata l’Associazione?

E’ nata per impulso e decisione di cinque donne coraggiose che il 21 Marzo 2006 hanno deciso di unirsi e formare questo gruppo di persone, all’epoca non ancora numeroso. All’inizio era solo su Milano successivamente ha avuto un’espansione su tutto il Paese, fino a diventare l’Associazione che è oggi, volta a rimuovere gli ostacoli sociali che ci possono essere nella realizzazione delle donne in ambito lavorativo, professionale e sociale.

Come è stata la partecipazione delle donne a questo tipo di attività? E che tipo di pregiudizi avete incontrato?

Non abbiamo mai incontrato pregiudizi o resistenze da parte delle donne né all’inizio né in seguito. Il pregiudizio all’inizio era soprattutto nei riguardi dell’Associazione, non venivamo prese troppo sul serio perché tutte donne. Ultimamente c’è stata una crescita culturale sull’essere donna, che ha fortunatamente interessato tutto il Paese. Molto è stato fatto, ma molto è ancora da fare, il solo fatto che ci sia una legge che impone il rispetto della “pari opportunità” la dice lunga. Dovrebbe essere un meccanismo naturale, non ci dovrebbero essere nemmeno delle associazioni di genere che portano avanti questo discorso. Dovrebbe essere tutto più sciolto ma ancora purtroppo non è così.

La coscienza dell’eliminazione delle discriminazioni, a distanza di dieci anni, è ancora solo delle donne o si può dire che è anche degli uomini?

Non è semplice dare una risposta. Io posso rispondere per quello che è il mio ambito di provenienza, sia all’interno dell’Associazione che all’esterno e posso dire che ancora qualche discriminazione esiste. Io faccio l’Avvocato e mi occupo di Diritto di famiglia, un ambito prevalentemente femminile dove tutt’oggi si guadagna molto meno rispetto per esempio ai colleghi che si occupano di Diritto societario o commerciale che hanno le pratiche più importanti e i fatturati più alti. Questo in un ambiente dove tutti possono fare tutto diventa una forma di discriminazione. Qualcuno mi racconta che dieci anni fa era frequente sentirsi dire “non mi aspettavo un avvocato donna” attualmente non è più così, anzi abbiamo coniato il temine Avvocata per intitolare il nostro lavoro a livello femminile perché c’è ancora molto da fare anche dal punto di vista del linguaggio.

In base alla sua esperienza di Avvocato, quali sono le discriminazioni che le donne devono affrontare ogni giorno?

La discriminazione più grande che le donne vivono nel nostro Paese è senza dubbio la violenza che, e lo dico con rammarico, è ancora oggi il tema principale. Sono ancora troppe le donne che subiscono, tra le mura familiari, in ambito lavorativo e in quello sociale una discriminazione che diventa una forma di violenza, di mobbing di tutto quello che le penalizza. È l’argomento che più abbiamo affrontato nei nostri convegni o tavole rotonde.

In che modo si potrebbe arrivare ad arginare questo fenomeno che ormai è diventato una piaga sociale?

La modalità che abbiamo ritenuto più convincente è di sconfiggere una cultura che è sempre basata su dei principi che penalizzano la donna. Per riuscire a superarli è necessario partire dall’educazione, all’interno delle famiglie, dei soggetti più piccoli. Solo così si può pensare di sconfiggere un pensiero, se uno non impara da piccolo a portarlo avanti, da grande farà ancora più fatica. Faccio un esempio: mio figlio, all’estero, già alle scuole elementari è stato abituato a fare delle cose che qui vengono considerate da “femmine” e là no. Sparecchiare, lavare un piatto è considerato una cosa che si deve fare indipendentemente dal fatto che tu sia un maschio o una femmina; qui purtroppo ci troviamo ancora davanti a mamme di 30 anni che si allarmano se il figlio fa “giochi da femmine”! Finchè non superiamo questi retaggi culturali che fanno parte di un’educazione sbagliata non andremo mai avanti. Per fare un esempio attuale, sentir dire che una donna non può svolgere un lavoro perché sta per diventare madre è una grandissima forma di discriminazione. Io sono cresciuta in una famiglia dove il più moderno era proprio mio padre che mi ha costretta a studiare e a girare il mondo ma non so quanti in quegli anni hanno avuto la stessa fortuna. Per questo è necessario iniziare dalle famiglie.

Non crede che anche in ambito giuridico, visto che il passaggio a livello sociale richiederà comunque più tempo, siano necessarie leggi più severe per chi compie una violenza contro le donne?

Assolutamente si. Per esserci le norme ci sono, ma nel momento in cui devono essere applicate si trovano sempre una serie di giustificazioni che finiscono sempre per penalizzare le donne. Sono stati fatti, anche qui, dei passi avanti. Sappiamo che attualmente esistono associazioni che aiutano le donne a venire fuori, e a reagire, da situazioni di violenze e/o soprusi in ambito familiare o lavorativo ma non è ancora abbastanza. Il problema non sono le norme ma la loro applicazione, è la loro osservanza che deve essere guidata e l’attuale sensazione di chi non le rispetta.

Come è possibile iscriversi all’associazione?

Non abbiamo dei requisiti molto restringenti la condizione sine qua non è un laurea in Giurisprudenza. Attualmente sono molto interessanti anche la correlazioni con altre organizzazioni internazionali; abbiamo aderito a una federazione internazionale che si chiama Fédération Internationale des Femmes des Carrières Juridiques questo ci ha portate a New York e ci ha permesso di avere in occasione di Expo a Milano ospiti dal Senegal, dalla Turchia, tutte molto attive. Così come abbiamo dei collegamenti con delle associazioni in Marocco e recentemente abbiamo parlato del rapporto tra donne e Islam. Questo ci permette di fare rete per capire quali sono le tematiche più importanti da portare avanti per cercare di portare dei risultati concreti a tutti le donne anche a quelle non iscritte.

Come varia la figura della donna dall’Italia al resto del mondo?

Diciamo che cambia tutto. La nostra collega marocchina ci ha raccontato la storia di due donne che durante il Ramadan hanno passato 48 ore in carcere per una gonna “troppo corta”. Sempre la mia collega marocchina ci ha ricordato di come, fino a qualche anno fa, un uomo che violentava un donna aveva la possibilità di rimediare a quanto commesso sposandola e violentandola di fatto un’altra volta.
Anche in Italia fino a non troppo tempo fa era così, basta pensare al caso di Franca Viola, la prima donna che disse “non lo amo non lo sposo” e si rifiutò di sposare il suo violentatore. Esistono ovviamente anche posti che hanno una cultura più illuminata e delle donne che hanno percorsi più facili, ma di questi ci occupiamo ovviamente meno.

Quali sono stati i risultati più tangibili raggiunti con l’Associazione?

In primis abbiamo operato per fare piccoli passi e far si che sempre più donne scendano in campo per portare risultati concreti. Qualcosa in effetti è già stato raggiunto: siamo l’associazione che ha dato impulso al ricorso quando in Regione Lombardia non era stato rispettato il quorum delle cosiddette quote rosa. Il ricorso andò a buon fine, obbligando alla revisione dei risultati elettorali e l’introduzione di un numero di donne che fosse adeguato alla componente maschile di questo organo piuttosto importante per la Regione e il Paese. Abbiamo organizzato incontri con le donne che lavorano in carcere. In occasione del nostro decennale, il servizio del catering arriva dal Consolato dell’Ecuador perché è composto da donne scampate a episodi di violenza che sono state organizzate in questo gruppo e hanno avuto un’opportunità di lavoro e nella giornata della legalità ci è sembrato molto importante sceglierle, per dare noi per prime un segnale concreto.