Cos'è la felicità: tra filosofia e vita quotidiana

Cos'è la felicità: tra filosofia e vita quotidiana. I dizionari la definiscono condizione di gioia, i filosofi parlano di imperturbabilità, tranquillità, piacere, ma cos'è davvero la felicità? Cerchiamo di scoprirlo insieme.

Cos’è la felicità: tra filosofia e vita quotidiana

Cos’è la felicità: tra filosofia e vita quotidiana. I dizionari la definiscono “condizione di letizia, di gioia, di soddisfazione”, “stato d’animo di chi è sereno, non turbato da dolori o preoccupazioni e gode di questo suo stato”, i filosofi dell’antichità parlano di eudaimonia, bene insito nell’uomo, eutimia, tranquillità d’animo, atarassia, imperturbabilità. Per secoli ci si è arrovellati nel tentativo di coglierne il vero significato, ma la felicità è tanto reale quanto indecifrabile, indefinita, impenetrabile. Impossibile ingabbiarla in una definizione rigida, di per se stessa limitata. La felicità è abituata a mutare pelle, adattandosi alle epoche, mimetizzandosi tra le genti: è impermanente, cambia col fluire dell’esistenza, è democratica, non conosce differenze di ceto o ricchezza. La felicità in definitiva esiste, esisterà sempre, ma per quanto ci si sforzi di descriverla, analizzarla e limitarla al nostro personale modo di intendere, non si riuscirà mai davvero a sviscerarne l’autentica natura.

La felicità nella filosofia greca

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Fin dall’antichità i filosofi hanno cercato di definire cosa sia la felicità. I greci la chiamavano “eudaimonia” (da eu, bene, e daimon, spirito guida), ovvero il sommo bene, il fine naturale della vita umana. Una concezione, quella eudaimonica, basata sull’etica e sulla morale, secondo cui l’essere felici coinciderebbe con il perseguimento del Bene e della giustizia. Ovviamente ogni filosofo ne dà una sua personale interpretazione: Aristotele la identifica con l’autorealizzazione virtuosa, ovvero la capacità di coltivare il proprio daimon, nostra autentica natura, Platone la individua nella ricerca del Bene e del Bello. Democrito preferisce invece definirla eutimia, tranquillità dell’animo, Stoici ed Epicurei parlano di atarassia, imperturbabilità, pace che nasce dalla liberazione delle passioni. Diogene la fa coincidere con la libertà, Socrate con la virtù, Plotino con la vita stessa.

La felicità nella filosofia moderna

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Dall’Umanesimo in poi felicità e piacere vanno di pari passo e la connessione si accentua progressivamente col passare del tempo. Locke, filosofo britannico della seconda metà del 600, la definisce il massimo piacere di cui siamo capaci, Leibniz, nella stessa epoca, parla di piacere durevole. Con il filosofo scozzese David Hume si affaccia il suo significato sociale di piacere diffusibile, mentre Kant insiste sul fatto che la felicità è del tutto personale e impossibile da raggiungere nel mondo fisico, concezione che influenzerà notevolmente la filosofia moderna. D’altra parte Schopenhauer afferma che vivere felici significa solo vivere il meno infelici possibile, Nietzsche ne ha invece una visione positiva, definendola pienezza di vita, infine Russell ne dà una versione meno egocentrica, dichiarando che essa dipende dall’ampia varietà degli interessi individuali rivolti all’esterno e non all’interno di se stessi.

La felicità nella vita quotidiana

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Al di là di tutte le elucubrazioni filosofiche in materia e dei consigli per essere felici, come definire la felicità nella vita quotidiana? Tutti noi la bramiamo, la cerchiamo affannosamente, la riteniamo un nostro diritto, eppure la felicità sembra sfuggirci continuamente, viene e va a suo piacimento in un estenuante gioco al gatto e al topo. Se ci soffermassimo a riflettere sul suo significato, forse ci accorgeremmo che i soldi non fanno la felicità, come dimostrato da una recente ricerca, e che identificarla con la soddisfazione individuale di matrice egoistica, è un grave errore. Quando la si desidera solo per se stessi, come si trattasse di un oggetto da possedere e custodire gelosamente, la felicità viene meno. A tal proposito casca a puntino la teoria dei neuroni specchio, cellule cerebrali che ci fanno reagire in modo speculare alle azioni e alle intenzioni dei nostri simili. Se tutti noi ci sforzassimo di essere meno giudici e più altruisti, si verificherebbe in breve un contagio di positività e un mondo migliore sarebbe certamente terreno fertile per il diffondersi della felicità.

Parole di Laura De Rosa