Cervello: schizofrenia ricreata in laboratorio

I ricercatori americani hanno ricreato un cervello schizofrenico partendo da cellule staminali di pazienti malati trasformate in neuroni. Prima tappa per studiare nuove cure.

Cervello: schizofrenia ricreata in laboratorio

I ricercatori americani sono riusciti a ricreare un cervello affetto da schizofrenia in laboratorio, segnando un importante passo avanti nello studio della malattia. In pratica, partendo dal prelievo di cellule staminali di 4 pazienti affetti da questa patologia psichica e riprogrammandole in modo da trasformarle in neuroni, hanno potuto identificare i deficit “comunicativi” che determinano il disturbo. Gli scienziati del Salk Institute for Biological Studies (California), con i colleghi della Penne State University (Pennsylvania), nella ricerca presentata sulla rivista Nature, sono riusciti a verificare le differenze nei collegamenti neuronali tra un cervello sano e uno schizofrenico.

Oltre a stabilire il difetto di comunicazione tra neuroni, i ricercatori hanno provato a trattarli con diversi psicofarmaci attualmente in uso per curare i pazienti schizofrenici. Il risultato è stato che solo uno di questi si è dimostrato utile nel ripristinare il giusto “dialogo” tra cellule cerebrali. Si tratta di medicinali a base di Loxapine, che agisce sui ricettori della dopamina. Questa scoperta potrebbe rivelarsi molto utile, in futuro, per il trattamento della schizofrenia.
 
“Per la prima volta disponiamo di un modello che ci permette di studiare come si comportano i farmaci antipsicotici su neuroni identici a quelli di pazienti schizofrenici con condizioni cliniche note e dunque di iniziare a correlare gli effetti farmacologici ai sintomi”, spiega la dott.ssa Kristen Brennard, una delle ricercatrici. Inoltre, a proposito di terapie, in questo modo sarà possibile personalizzare la cura in base alle caratteristiche specifiche di ogni paziente, come approfondisce Gong Chen, docente di biologia alla Penn State:
 
“L’aspetto più sorprendente di questo approccio è che ci consente di esaminare dei neuroni derivati da un paziente che, verosimilmente, sono equivalenti alle cellule neuronali di quella stessa persona. Possiamo dire che si tratta di un modello paziente-specifico, grazie al quale abbiamo la possibilità di scoprire come un determinato trattamento agisca sulle cellule neuronali di uno specifico paziente, senza doverlo sottoporre a tentativi, e quindi eliminando inutili effetti collaterali”. Gli scienziati sottolineano che questo tipo di ricerca potrà in futuro aprire la strada a nuove terapie anche per altri disturbi psichiatrici.

Parole di Paola Perria