Stefano Cucchi, chi era? Tutta la vicenda delle colpe e dell'epilessia

Omicidio preterintenzionale. E' l'accusa che la procura di Roma contesta a tre dei carabinieri che arrestarono Stefano Cucchi, geometra romano di 32 anni deceduto il 22 ottobre del 2009 all'ospedale Pertini, sei giorni dopo essere stato arrestato per droga. La procura chiude così la cosiddetta inchiesta-bis: i militari sono ritenuti responsabili del pestaggio del giovane. Fino ad oggi l'ipotesi più accreditata della morte di Cucchi era l'epilessia.

Stefano Cucchi, chi era? Tutta la vicenda delle colpe e dell’epilessia


Sono passati 8 anni dalla morte di Stefano Cucchi e oggi si chiude l’inchiesta bis iniziata nel 2014: per i Pm il ragazzo è morto in seguito al pestaggio che subì la notte del suo arresto. Per loro è stato un omicidio preterintenzionale, in cui decisiva è stata la mano e la responsabilità di chi lo aveva in custodia, i carabinieri allora in servizio nella stazione Appia. Questa è l’accusa che la procura di Roma contesta a tre dei carabinieri che arrestarono Stefano. Con i tre, è stato accusato di calunnia anche il comandante dei carabinieri. Fino ad oggi la perizia accreditata sulla morte del giovane riteneva come ipotesi più attendibile l’epilessia.
Vediamo di ripercorre le lunghe fasi del processo e tutta la vicenda delle colpe e dell’epilessia che quel 22 ottobre 2009 portò alla morte l’allora 30 enne Stefano Cucchi.

La vicenda di Stefano Cucchi

Il 15 ottobre 2009 Stefano Cucchi, un geometra di 31 anni, viene fermato dai carabinieri per possesso di sostanze stupefacenti. Viene portato immediatamente in caserma, perquisito, trovando 12 confezioni di varia grandezza di hashish per un totale di 21 grammi, tre confezioni impacchettate di cocaina, insieme ad una pasticca di un medicinale (il ragazzo era epilettico). Il giorno dopo viene processato per direttissima. Già durante il processo ha difficoltà a camminare e a parlare e mostra inoltre evidenti ematomi agli occhi.
stefano cucchi prima arresto
Il ragazzo rimane in custodia cautelare nel carcere di Regina Coeli e dopo l’udienza le condizioni di Cucchi peggiorano ulteriormente, e viene visitato all’ospedale Fatebenefratelli. Qui verranno refertate lesioni ed ecchimosi alle gambe, al viso, una frattura della mascella, all’addome, inclusa un’emorragia alla vescica e infine due fratture alla colonna vertebrale. Ciononostante Cucchi non viene portato in ospedale, per il suo mancato consenso facendo sì che le sue condizioni peggiorino: Stefano muore all’ospedale Sandro Pertini il 22 ottobre 2009 e al momento del decesso pesa solamente 37 chilogrammi.

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Inizia una lunga serie di indagini, di battaglie per la verità da parte della sorella di Stefano, Ilaria Cucchi, che porteranno prima all’accusa del personale penitenziario per le percosse fatte al ragazzo, poi l’assoluzione. Il 27 novembre 2009 una commissione parlamentare d’inchiesta, indetta per far luce sugli errori sanitari nell’area detenuti dell’Ospedale Pertini di Roma, conclude che Stefano Cucchi è morto per abbandono terapeutico. Infatti, oltre agli agenti di polizia penitenziaria, vengono indagati anche alcuni medici che non avrebbero curato il giovane e che lo avrebbero lasciato morire di fame e sete. Questi si sono difesi sostenendo che fosse il giovane a rifiutare le cure.

L’ultima conclusione invece dei consulenti nominati dal gip nell’inchiesta bis, aveva stabilito che la causa di morte di Stefano sia stata l’epilessia. Anche in questa occasione Ilaria non ha mancato di far sentire la sua voce: “non solo la perizia riconosce le fratture, ma che l’epilessia è priva di riscontri oggettivi. Chiederemo un processo per omicidio” aveva annunciato. Ed oggi si dice soddisfatta: “voglio dire a tutti che bisogna resistere, resistere, resistere. Ed avere fiducia nella giustizia”, scrive sul suo profilo Facebook.

Le sentenze

Il 5 giugno 2013 la Corte d’Assise condanna in primo grado quattro medici dell’ospedale Sandro Pertini a 1 anno e 4 mesi e il primario a 2 anni di reclusione per omicidio, mentre assolve infermieri e guardie penitenziarie, che secondo i giudici, non avrebbero in alcun modo contribuito alla morte di Cucchi. Per loro c’era l’accusa di abuso di autorità e lesioni personali, ma sono assolti per “insufficienza di prove”.

Il 31 ottobre 2014, con sentenza della Corte d’appello di Roma, vengono assolti tutti gli imputati, fra cui i medici: è ora che inizia di nuovo la battaglia della sorella Ilaria, che mai si è data per vinta. Annuncia un ricorso alla Corte di Cassazione e chiede al Procuratore capo della Repubblica, Pignatone, di continuare a indagare sul caso. Iniziano le campagne di sensibilizzazione dell’opinione pubblica sul caso, tanto da ricevere una querela da un sindacato di Polizia penitenziaria per “ istigazione all’odio e al sospetto nei confronti dell’intera categoria di soggetti operanti nell’ambito del comparto sicurezza”.
Aula bunker di Rebibbia Sentenza processo Cucchi
Si smuove qualcosa in Cassazione: è il 15 dicembre 2015 e c’è un parziale annullamento della sentenza di appello, ordinando un nuovo processo per 5 dei 6 medici dell’Ospedale Pertini precedentemente assolti. E’ così che si arriva alla conclusione della cosiddetta inchiesta bis sui responsabili del suo pestaggio: “la morte di Cucchi è avvenuta in seguito ai calci e agli schiaffi dei tre carabinieri che lo arrestarono”. Le botte, per l’accusa, provocarono “una rovinosa caduta con impatto al suolo in regione sacrale” che “unitamente alla condotta omissiva dei sanitari che avevano in cura Cucchi presso la struttura protetta dell’ospedale Sandro Pertini, ne determinavano la morte”. Oggi, dopo anni, la svolta: 3 carabinieri sono accusati di omicidio preterintenzionale, mentre l’accusa di calunnia è per il comandante della stazione Appia e per altri due militari anche il reato di falso verbale di arresto.

La battaglia di Ilaria Cucchi

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Ad oggi è soddisfatta Ilaria Cucchi, che durante questi anni ha condotto una battaglia per la morte del fratello. Ha sempre fatto sentire la sua voce, tramite i social, presenziando a trasmissioni televisive, rivolgendosi agli organi competenti, collaborando con ACAD, l’Associazione Contro gli Abusi in Divisa. Ha sensibilizzato l’opinione pubblica per gridare a gran voce che suo fratello non era un delinquente e che non era morto di epilessia, ma in seguito ad un pestaggio. Ha protestato insieme ad altri familiari di vittime morte in simili circostanze, come Lucia Uva, sorella di Giuseppe.

Da anni la famiglia cerca giustizia per un figlio morto per i dolori, a detta loro, causati dalle torture e dalla trascuratezza. Nella sua ricerca della verità, Ilaria non ha avuto tempo per piangere la morte del fratello, ha deciso di impiegarlo combattendo. Disse infatti tempo fa in un’intervista: “Non c’era tempo di piangere. In sei anni avrò pianto un paio di volte la morte di mio fratello; io quel lutto non l’ho mai completamente elaborato perché non ce n’era il tempo. Perché fermarsi voleva dire veder svanire la possibilità di avere delle risposte; ora non è che ottenere delle risposte ti riporta indietro il tuo morto ma ti aiuta ad elaborare il tuo dolore. Abbiamo bisogno di sapere la verità per poter andare avanti”. Ed oggi dopo 8 anni è arrivata.

Parole di Lavinia Sarchi