Lea Garofalo, non arriviamo tardi anche con la figlia Denise Cosco

Oggi il coraggio di Lea Garofalo è fortunatamente noto a tutti, ma la storia di sua figlia Denise Cosco è ancora troppo nascosta, celata, taciuta.

Lea Garofalo, non arriviamo tardi anche con la figlia Denise Cosco

Un maglione nella vetrina di un negozio. Una giovane ragazza che passa spesso davanti a quella vetrina ne resta colpita, vorrebbe poterlo comprare. Si immagina con quell’indumento addosso e si vede bella, più di quanto in realtà già sia. Da lì a pochi giorni avrebbe compiuto diciotto anni e il diciottesimo compleanno, si sa, è un traguardo per tutti i ragazzi, come se davvero in un solo giorno si potesse passare dalla fanciullezza all’età adulta. È un giorno in cui, soprattutto le giovani ragazze, vogliono sentirsi festeggiate, apprezzate, desiderate, quasi come buon auspicio per la loro vita da donne. Sarà, giustamente, stato così anche per Denise Cosco, che però quel giorno non avrebbe potuto goderselo: è la figlia di Lea Garofalo, la figlia di un boss della ‘ndrangheta e la moglie di un santista, ma soprattutto una testimone di giustizia che aveva deciso di collaborare con lo Stato per denunciare tutto.

La coraggiosa scelta della madre l’aveva portata a vivere in una profonda solitudine: i continui trasferimenti da una città all’altra, i continui cambi d’identità, compreso il periodo in cui gli fu inspiegabilmente revocato il programma di protezione, e la paura di essere trovate e scoperte, le portò ad essere profondamente sole. Probabilmente avrebbe voluto anche lei, così come tutte le sue coetanee, una festa di compleanno degna dell’occasione, un abito che la facesse sentire per quella sera una principessa e invece non poteva permettersi nemmeno quel maglione che tanto avrebbe voluto. Quello Stato a cui la madre si era affidata non l’aveva messa nemmeno in condizione di comprarselo: Lea e Denise vivevano in una situazione di grave difficoltà economica. Una difficoltà di cui, come spesso accade, la criminalità organizzata approfitta.

Carlo Cosco, marito di Lea e padre di Denise, ben conosceva infatti la loro difficile situazione economica e così disse alla figlia di raggiungerlo a Milano, ma Lea non l’avrebbe mai lasciata partire da sola. Era convinta che, finché stavano insieme, mai nessuno le avrebbe fatto nulla.

Dovevano essere belle e forse anche felici mamma e figlia mentre passeggiavano, il pomeriggio del 24 novembre 2009, per il centro di Milano con lo stesso giubbotto, uno nero e l’altro uguale ma bianco. Dovevano essere belle e forse anche felici fino a quando Denise non venne prelavata dal padre e portata a casa degli zii e Lea Garofalo sequestrata, uccisa e bruciata mentre «le spaccavamo le ossa con una pala», dirà poi un collaboratore di giustizia. Un omicidio che mai nessuno avrebbe scoperto se Denise non fosse andata dai Carabinieri a denunciare il padre.

Così la figlia di Lea Garofalo, rimasta orfana di madre e con il padre in galera, si trasferisce in Calabria da una zia e lì si innamora di un ragazzo, Carmine Venturino. Un giorno, però, mentre i due sono al mare, arrivano i Carabinieri e lo arrestano: è quello che poi, da collaboratore di giustizia, dirà di aver spaccato le ossa delle madre di Denise mentre bruciava.

Oggi non ci è dato sapere dove e come viva Denise, perché è rientrata nel programma di protezione, ma se il coraggio di Lea Garofalo è fortunatamente noto a tutti, la storia di sua figlia è ancora troppo nascosta, celata, taciuta e i problemi di testimoni e collaboratori di giustizia ignorati, trascurati e tralasciati. L’Italia, infatti, è il paese del “dopo”: solo dopo che qualcuno muore, ammazzato, ci si interessa a chi era e cosa aveva fatto perché i clan ritenessero opportuno “farla fuori”. L’Italia è il paese che arriva sempre, perennemente, in ritardo e, fino a quando quel qualcuno è in vita, lo guarda con sospetto, con diffidenza o, nel migliore dei casi, se ne disinteressa. Lo Stato non arrivi in ritardo anche con Denise, perché “dopo” potrebbe essere, un’altra volta, troppo tardi.

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