Francesca Morvillo, innamorata della Giustizia prima che di Giovanni Falcone

Prima di morire Francesca Morvillo chiese: «Dov'è Giovanni?». Chiedendo dove fosse Falcone, chiedeva in realtà dove fosse la giustizia.

Francesca Morvillo, innamorata della Giustizia prima che di Giovanni Falcone

Abbiamo già avuto modo di vedere, nella rubrica “La mafia è Donna“, quanto sia vera anche nella lotta alla criminalità organizzata l’equazione secondo cui «dietro ogni grande uomo, c’è sempre una grande donna» [Leggi qui la storia di Felica Bartolotta, mamma di Peppino Impastato]. Di sicuro un altro illustre esempio è Francesca Morvillo, la donna che per amore rimase vicino a Giovanni Falcone fino al giorno della morte. Ma per amore di chi?

Non voglio certo dire che l’amore per una persona non possa essere tanto forte da far uscire quel coraggio capace di mettere da parte la paura e soprattutto quell’istinto naturale alla sopravvivenza, ma rovistando nella biografia di Francesca Morvillo capiamo subito che il suo amore per Giovanni Falcone e quella innaturale voglia di stargli accanto contro tutto e tutti affonda le sue radici in ben altro.

Nata il 14 dicembre del 1945, Francesca Morvillo era cresciuta con la giustizia in casa: già suo padre Guido era Sostituto Procuratore e lei volle seguirne le orme. Entrata in magistratura, scelse la Procura dei Minori e, se Giovanni Falcone sentì di dover combattere per i siciliani prima e gli italiani poi, man mano che la mafia estendeva i suoi tentacoli in tutto il territorio nazionale, Francesca Morvillo sentì con la stessa forza la necessità di proteggere i bambini. Quella necessità che la portò, probabilmente controvoglia, a decidere di non avere figli.

Benché i suoi colleghi raccontino, infatti, quanto le piacesse lavorare a stretto contatto con i bambini e che, anche quando sosteneva l’accusa, aveva un atteggiamento premuroso con i giovanissimi imputati, cercando di capirli e di aiutarli, Francesca non volle mai avere un figlio suo. Forse sentiva già figli suoi tutti quei bambini di cui si occupava come magistrato, ma di sicuro era d’accordo con il marito quando diceva «Non voglio mettere al mondo degli orfani».

Fu, forse, proprio quel suo amore per la giustizia che la portò, una sera a casa di amici, a innamorarsi di Giovanni Falcone, a sposarlo nel maggio del 1986 dopo un primo matrimonio andato male, e a restargli accanto fino a quel fatico 23 maggio di esattamente 28 anni fa.

Di certo la loro storia d’amore non dev’essere stata fra le più semplici: condannati dalla mafia a non poter restare mai da soli, a dover condividere ogni momento di intimità con gli agenti della scorta, perfino quello della morte. Ma soprattutto condannati a vivere lontani, lui a Roma e lei a Palermo, insieme solo in quei fine settimana blindati, senza poter andare a cena fuori insieme, a cinema, a teatro o a passeggiare abbracciati sul lungomare siciliano.

E ancora di più Giovanni e Francesca erano condannati a vivere con un costante senso di paura che da un momento all’altro, anche nei momenti più intimi, potesse succedere qualcosa. Come quella mattina del 21 giugno 1989, quando gli agenti della scorta trovarono 58 cartucce di esplosivo nella spiaggetta antistante la villetta al mare che avevano affittato per trascorrere qualche giorno di vacanza, qualche giorno dedicato soltanto a loro due.

Quell’intimità già violata dalla necessaria e – sono sicuro – quanto più discreta possibile presenza della scorta, venne “stuprata” da quell’attentato fortunatamente fallito, che sembrava volesse dirgli: «Sappiate che non siete mai da soli». E allora, forse, la vera condanna che inflisse la mafia a Giovanni Falcone e soprattutto a sua moglie non fu l’attentato di Capaci, ma l’impedirgli di vivere una vita normale anche quando erano in vita.

Le sue ultime parole, agonizzante in ospedale dopo l’attentato, confermano il suo amore prima di tutto per la giustizia. «Dov’è Giovanni?», chiese. E chiedendo dove fosse Giovanni Falcone, chiedeva in realtà dove fosse la Giustizia.