Emanuela Setti Carraro morta nell'abbraccio del marito, il Generale Dalla Chiesa

Il 3 settembre 1982 Emanuela Setti Carraro fu trovata morta abbracciata a Carlo Alberto Dalla Chiesa, perché è fra le braccia del proprio uomo che una donna si sente maggiormente protetta.

Emanuela Setti Carraro morta nell’abbraccio del marito, il Generale Dalla Chiesa

L’abbraccio è uno dei maggiori gesti di affetto e di amore. Se forte, può perfino essere più passionale e struggente di un bacio. Affinché le braccia e le mani possano stingersi attorno al busto dell’altro, richiede infatti che entrambi i corpi combacino reciprocamente. L’abbraccio è considerato un’espressione generica di affetto, non riservata soltanto a due amanti. Eppure sarà proprio fra le braccia del proprio uomo che una donna si sentirà maggiormente protetta, al sicuro. Certamente era così per Emanuela Setti Carraro, morta nell’abbraccio del marito, il Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa.

La sera del 3 settembre del 1982 Emanuela Setti Carraro e Carlo Alberto Dalla Chiesa furono, infatti, trovati abbracciati, come se il marito avesse fatto un ultimo disperato tentativo di farle scudo con il proprio corpo, di proteggerla, di farla sentire al sicuro. D’altronde lei era molto più giovane di lui, di circa 30 anni, ed aveva soltanto 31 anni.

Era proprio per quell’incredibile differenza di età che erano diventati marito e moglie da soltanto 54 giorni. Il Generale Dalla Chiesa, rimasto vedovo già dal 1978, aveva infatti superato le sue titubanze soltanto grazie alla convinzione e alla determinazione di Emanuela.

Se spesso si dice, forse con un tono un po’ ironico, che le donne abbiano lo spirito delle crocerossine, di Emanuela Setti Carraro lo si può dire senza aver paura di essere fraintesi. Figlia di Maria Antonietta Carraro, capogruppo di crocerossine durante la seconda guerra mondiale, Emanuela fece suo l’impegno materno e si diplomò come infermiera per arruolarsi volontaria nella Croce Rossa Italiana.

Ma soprattutto fece suo quel ruolo che la madre aveva mantenuto durante la guerra e, proprio a sua madre, aveva confidato telefonicamente: «Ho nostalgia della vita passata nella villa di campagna… la vita scorreva serena, ma il nostro dovere era di ritornare qui, sempre in prima linea, perché questa è proprio guerra, sai? E delle più difficili da combattere».

E, così come le crocerossine non erano al fronte ma non si può certo dire che non abbiano preso parte alla guerra come i loro mariti soldati, Emanuela Setti Carraro rimase nelle retrovie della lotta alla mafia ma vi prese parte stando accanto al proprio compagno.

Anche la sera del 3 settembre 1982 era accanto al suo uomo: era andata a prenderlo in Prefettura, a Palermo, e alle 21.15 era proprio lei alla guida della sua A112 bianca per riportare a casa il marito sano e salvo, almeno per un’altra sera. Ma il suo stargli accanto in quella guerra non era solo fisico: la ricostruzione dell’attentato indicherà infatti che, dopo le raffiche di kalashnikov contro la vettura, il sicario scese dalla sua motocicletta, girò attorno all’auto e con una pistola le sparò un colpo di grazia alla testa.

Probabilmente Emanuela sapeva troppo perché si potesse correre il rischio che restasse in vita. Ella aveva sicuramente raccolto le ansie, le angosce e le paure del marito e per questo la mafia doveva essere sicura che morisse anche lei. Sia la madre, che la collaboratrice domestica hanno, infatti, ripetutamente sostenuto che Emanuela sapesse dove il marito custodiva alcune carte da utilizzare in caso di uccisione del Prefetto.

Perfino la “Commissione Parlamentare d’Inchiesta sul Terrorismo in Italia e sulle Cause della Mancata Individuazione dei Responsabili delle Stragi”, nella seduta del 21 gennaio 1998, riconobbe che Dalla Chiesa aveva detto alla moglie «se mi fanno qualcosa, tu sai che c’è il nero su bianco e sai dove prenderlo».

Di sicuro Emanuela Setti Carraro del marito aveva condiviso la convinzione che «certe cose non si fanno per coraggio, si fanno solo per guardare più serenamente negli occhi i propri figli e i figli dei nostri figli». Quei figli che Emanuela, a soli 31 anni, non aveva neanche ancora fatto in tempo ad avere, ma che sicuramente avrebbe voluto.

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