Agnese Borsellino: il suo destino nel nome

È grazie ad Agnese Borsellino che il non esserci di Paolo è diventato il migliore insegnamento di vita che un padre possa dare ai proprio figli.

Agnese Borsellino: il suo destino nel nome

Il nome Agnese rievoca alla memoria una madre, oltre che una donna. Chiunque, sentendo quel nome, non potrà fare a meno di pensare alla madre di Lucia Mondella, quella che nei Promessi Sposi ha sempre una sola posizione: quella della figlia. Alessandro Manzoni ha assegnato a molti dei suoi personaggi nomi che potessero in qualche modo rappresentarli già dall’inizio, come l’avvocato Azzacagarbugli o come Perpetua, ma di sicuro non avrebbe potuto immaginare che circa 200 anni dopo a oltre 1500 chilometri da «quel ramo del lago di Como», a Palermo, potesse esserci un’altra Agnese che incarnasse in modo così combattivo la maternità. Così come Agnese scelse di stare dalla parte della figlia anche di fronte alla prepotenza di Don Rodrigo e alla violenza dei bravi, Agnese Piraino Leto rimase dalla parte dei suoi tra figli, Lucia, Manfredi e Fiammetta, nella lotta contro la mafia.

Restando accanto al marito Paolo Borsellino e sostenendo la sua guerra contro il crimine organizzato, ella tentò di consegnare ai suoi figli una Palermo e un’Italia migliore. Ma soprattutto la sua battaglia Agnese Borsellino l’ha combattuta all’interno delle mura domestiche: sostituendosi al marito quando il figlio aveva bisogno di ripetere la lezione di diritto, di cui forse lei nulla si intendeva, prima dell’esame; facendo accettare a tre giovani adolescenti che quell’emarginazione da parte di molti amici e compagni era in realtà uno scegliersi le amicizie giuste e che quel trasferimento nel carcere dell’Asinara era un sacrificio in nome della giustizia o addirittura convincendo la figlia a festeggiare il suo compleanno nonostante la casa dovesse essere circondata di poliziotti.

L’impegno più grande per Agnese Borsellino fu quello di far capire ai suoi tre figli, che probabilmente avranno più volte avanzato il diritto di avere un padre presente quando invece era in Procura con l’amico e collega Giovanni Falcone e di averlo vivo quando invece andava consapevole incontro alla morte, che tutto quello che faceva il marito lo faceva soprattutto per loro. E così quell’essere assente è diventato forse il migliore degli insegnamenti di vita che un padre può dare ai proprio figli. È grazie ad Agnese Borsellino, che ha avuto la forza, il coraggio e la costanza di spiegarglielo, che il non esserci di Paolo è diventato un messaggio per Lucia, Manfredi e Fiammetta e forse non solo per loro.

Così Agnese Borsellino la sua battaglia, al contempo personale e civile, l’ha vinta se, all’indomani dell’assassinio del padre, la figlia Lucia decise di affrontare un esame all’università perché il padre le aveva detto che «l’importante non è il risultato, ma portare a termine il proprio dovere» e se il figlio Manfredi ha deciso di entrare in Polizia per continuare a servire quello Stato che non sempre si era dimostrato leale nei confronti del padre.

E quegli insegnamenti del marito Paolo ai suoi figli fu proprio lei a riassumerli, un annetto prima di morire nel maggio del 2013, quando aveva 71 anni, in un’unica frase: «Io e i miei figli siamo rimasti quelli che eravamo. E io sono orgogliosa che tutti e tre abbiano percorso le loro strade senza trarre alcun beneficio dal nome pesante del padre. Di questo siamo grati a Paolo. Ci ha lasciato una grande lezione civile. Diceva che chiedere un favore vuol dire diventare debitore di chi te lo concede. Era così rigoroso e attento al senso del dovere che alla fine della giornata si chiedeva: ho meritato oggi lo stipendio dello Stato?».

Oltre che a Paolo Borsellino, a Giovanni Falcone e Francesca Morvillo [Leggi qui “Francesca Morvillo, innamorata della giustizia prima che di Giovanni Falcone”] e agli agenti delle loro scorte [Leggi qui “Le scorte di Falcone e Borsellino dimenticate per giustificare la nostra vigliaccheria”], dobbiamo quindi ricordarci di essere grati anche ad Agnese Piraino Leto.

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